Questa mattina ho aiutato insieme al mio capo clan Gabriele e altri due ragazzi del gruppo della Toscana ad ultimare il trasloco dalla vecchia alla nuova sede della Capanna di Betlemme. Altri miei compagni avevano già iniziato questo lavoro nei giorni precedenti e per questo non ci siamo stancati molto fisicamente. D’altra parte ho avuto modo di parlare con Max, uno dei volontari della Papa Giovanni XXIII. Ho riflettuto molto su come quel luogo inizialmente frequentato da perfetti sconosciuti, sia diventato col tempo così speciale per tutti loro. Come hanno testimoniato Max e altri volontari infatti, alla notizia del trasferimento gli ospiti hanno reagito subito chiedendo se fossero comunque tutti insieme. È bello vedere come siano riusciti a creare una vera e propria famiglia.
Il servizio è molto semplice. Si tratta di distribuire panini
(thelete sandwich?) e té freddo (crio chai?) ai senza
tetto del porto del Pireo. Questi gesti servono a coltivare le
relazioni con queste persone, facendo sentire loro un po’ del calore
che la società gli nega. Fino a qui è tutto teorico e lineare.
Quando poi ci si trova davanti ai volti, agli odori, alle voci, la
situazione si complica parecchio e le corde delle emozioni, intense e
negative, iniziano a vibrare.
Non siamo preparati ad incontrare così tante persone. Decine,
centinaia di vite sbattute sulle panchine, sui prati dei parchi,
sull’asfalto dei marciapiedi.
Non siamo preparati a incontrare le donne. Un “barbone” te lo immagini diverso. Non ti aspetti una signora sorridente che potrebbe essere tua madre, pulita e ordinata, circondata da sacchi pieni dei suoi poveri averi. Non siamo preparati a incontrare ragazzi giovani, forse tossico-dipendenti, gli stessi ragazzi che potrebbero essere i tuoi vicini di casa, le stesse persone che potresti incontrare in un locale o in pizzeria.
Non siamo assolutamente preparati ad incontrare le famiglie, che sono
soprattutto rom. Uomini e donne adulti, con i cartoni che saranno il
loro letto sottobraccio. I bambini intorno seguono mamma e papà in
cerca di un luogo tranquillo per dormire e magari di un po’ di cibo
per riempire lo stomaco un altro giorno. I bambini, di ogni età e i
più piccoli spesso nudi, non dovrebbero crescere sulla strada. I
bambini giocano e ridono in ogni luogo, e questi non fanno
differenza. Questa situazione è però semplicemente inaccettabile ai
nostri occhi. Queste immagini ci colpiscono come un maglio. Qualcuno
di noi non trattiene le lacrime.
I senzatetto di Atene vengono assistiti nei loro bisogni primari da
associazioni come la Papa Giovanni XXIII. L’impressione però è
che non sia il cibo ciò che più manchi
loro. Abbandono, emarginazione, solitudine sono i mali che affliggono
le loro esistenze.
I nostri cuori pesanti vengono consolati
da momenti belli, addirittura commoventi. Maria Serena, la volontaria
che ci guida e ci accompagna, viene accolta con sorrisi sinceri e
abbracci affettuosi. Non c’entrano il tè e i panini. I visi di
questi poveri sono illuminati da qualcosa che somiglia molto
all’amicizia e alla riconoscenza di chi apprezza il tempo che lei e
noi abbiamo scelto di condividere.
Alcune
di queste persone inoltre ci danno vere e proprie lezioni di dignità.
C’è che cura la propria pulizia anche in questa condizione di
totale privazione. C’è chi, come Stathis, è riuscito a ritagliare
sotto una tettoia un angolo di salotto, con un tavolino di fortuna e
una sgangherata sedia da ufficio. Consuma il pasto donato da qualche
ente benefico come se si trattasse di una cena in un ristorante. A
commuovermi è Alekos. A fianco della panchina che rappresenterà il
suo letto di questa notte c’è una pila di libri e un paio di
occhiali. Mi mostra con orgoglio i suoi volumi, in greco. Sono
dettagli di potentissima umanità.
Tantissime domande affollano le nostre menti. Abbiamo accompagnato a turno Maria Serena nella visita dei senzatetto al porto, in centro, nei parchi. Tutti abbiamo provato le stesse emozioni contrastanti e tutti siamo tornati con troppe domande alle quali non riusciamo a dare risposte convincenti. Siamo scout, e crediamo che nel servizio ai poveri incontriamo Gesù. Probabilmente non ci serve sapere altro per dare un senso a tutto questo.
Oggi sono andato in centro con Maria Serena, Leo, Margot per
incontrare i senzatetto. Siamo partiti di mattina e siamo stati nel
centro di Atene e lì abbiamo trovato senzatetto: la prima ci ha
scacciato, il secondo invece e stato cordiale e abbiamo fatto una
bella chiacchierata con lui in inglese. Mentre stavamo percorrendo la
strada principale di Atene, Serena ci ha portati in un palazzo enorme
che era chiuso da una rete. Siamo riusciti ad entrare dentro grazie a
un buco nella rete. I primi due piani erano pieni di spazzatura di
ogni tipo, mentre altri due erano stati utilizzati come bagni.
Nell’ultimo piano abbiamo trovato in un materasso delle scarpe e
dei vestiti, segno che qualcuno aveva dormito lì. Siamo saliti in
cima al palazzo e li abbiamo visto un bel panorama. Intorno però ho
notato con tristezza che c’erano molti palazzi fatiscenti e di
fianco a questi c’erano dei palazzi moderni e molto belli; erano
mescolati tra loro. Invece che sistemare i palazzi mal messi
preferiscono lasciarli così e costruirne dei nuovi.
Oggi sono stato assegnato di nuovo alle suore del centro estivo:
all’inizio dovevamo solo occuparci della mensa ma poi sono anche
arrivati alcuni bambini per cui ci siamo divisi in chi stesse a
preparare da mangiare e chi li avrebbe fatti giocare. Loro parlavano
solo greco, quindi siamo riusciti a comunicare solo gesticolando o a
volte con l’aiuto delle suore, ma principalmente siamo riusciti a
raggiungerli con i gesti: è bastato ascoltarli e cercare di
accompagnarli in quello che si sentivano di fare piuttosto che
forzarli con qualche gioco, così non solo ci siamo affezionati noi a
loro, ma penso che anche loro ci abbiano preso in simpatia. Vengono
da situazioni e condizioni difficili, in cui vivono tutt’ora, ma,
nonostante questo li porti ad assumere comportamenti ogni tanto
ribelli, non è stato sufficiente a coprire il loro lato infantile,
che ovviamente non può che essere scoperto attraverso il gioco.
Ormai di routine ci siamo svegliati in tutta fretta per
catechesi-colazione e prepararativi per i servizi.
Oggi sono
andato alla capanna di Betlemme che in questo momento è impegnata a
fare un trasloco. (La capanna di Betlemme è una struttura della Papa
Giovanni XXIII che accoglie persone senza fissa dimora). Grazie alla
mia solita fortuna oggi abbiamo dovuto spostare il frigo e la
lavatrice…
Con l’aiuto di baldi giovani abbiamo sistemato
tutto e ci siamo messi a programmare i dettagli in preparazione
dell’apertura di lunedì.
Di
sicuro non è stato un servizio forte e incisivo come altri ma vedere
i ragazzi della capanna che ti ringraziano infinite volte ti fa
capire come in realtà sia stato molto importante.
Gli Scout del Bertinoro 1 sono tornati stamattina con una giornata ricca di emozioni e con altre attività. Sveglia alle 7:15 per la catechesi della mattina, subito dopo una veloce colazione per una partenza molto carica. Ci siamo divisi in gruppi, come ieri mattina, ognuno di questi aveva un’attività diversa. Io (Margot) con Rossi, Samu e i toscani ci siamo diretti in metropolitana per raggiungere la casa famiglia delle suore di Madre Teresa. Abbiamo svolto diverse attività: aiuto in cucina, conoscenza degli ospiti e vari giochi con bambini, seguiti da un piccolo tour della casa famiglia guidato dalla capa delle suore che ci ha illustrato la storia della casa. Abbiamo provato emozioni forti e abbiamo appreso la vera importanza dei piccoli gesti. Io (Manu) con l’Ali e Massi ho aiutato, nella struttura in cui alloggiamo, un centro estivo con qualche bambino giocando ogni tanto con loro e restando a disposizione in caso di bisogno. Mentre gli altri gruppi erano fuori qualcuno doveva pensare al pranzo quindi ci siamo messi all’opera preparando una pasta fredda con pomodorini, tonno e feta. Abbiamo poi apparecchiato la tavola e giocato a carte nel tempo rimanente. Per concludere la nostra giornata tutti insieme siamo andati a messa nella casa famiglia delle suore di Madre Teresa, abbiamo condiviso un momento di Fede e di fraternità. E’ stato molto emozionante vedere come celebrano la messa le suore di Madre Teresa, con le lore preghiere in inglese,v edere la loro unione e la forza che le unisce… Dopo una breve merenda hanno portato le loro testimonianze, ci hanno raccontato del percorso di formazione che le ha portate ad arrivare lì. Una frase che ci accompagnerà nel nostro cammino è “esistono poveri che mancano di materiale, ma la povertà più profonda è quella di chi non ha Fede” .
Gli scout in aeroporto si fanno riconoscere, ma il Bertinoro1 soprattutto! Nessuna problematica durante il viaggio, tranne il bambino che piangeva in aereo… Dopo 10 ore di viaggio finalmente eccola: l’antica Atene, la nostra casa per i prossimi 7 giorni. Lunedì: primo giorno di servizio. Divisi in 4 gruppi ci siamo diretti ognuno alla propria destinazione. Io (Agne!), insieme a Tom e Ben, mi sono occupata del trasloco della Capanna di Betlemme: una casa di accoglienza per profughi che ha trovato nuova sede, che aprirà lunedì prossimo. Il nostro compito sarà quindi quello di spostare i mobili, montare i letti, pulire tutta la casa e prepararla all’accoglienza. Ma non vi abbiamo ancora presentato i toscani: un gruppo di ragazzi della provincia di Firenze che è qua ad Atene da una settimana e che condividerà con noi i prossimi giorni di servizio. Abbiamo pranzato insieme, mentre nel pomeriggio abbiamo assistito alla testimonianza di tre ragazze dell’Operazione Colomba: chi da più e chi da meno tempo si presta al servizio dei profughi che non trovano supporto nel sistema legislativo europeo. L’Operazione Colomba opera solitamente in paesi colpiti da conflitti, ma qui in Grecia hanno deciso di aiutare anche se il conflitto non è scandito da bombe o fucili. Dopo la lunga chiacchierata ci è venuta fame: mentre alcuni di noi cenavano, un piccolo gruppetto è andato in strada a portare cibo e acqua ai senzatetto, ma di questo scoprirete di più domani!
Il mal d’Africa è una malattia non troppo rara dalla quale gli autotoctoni sono completamente immuni. Il mal d’Africa è fondamentalmente una malattia cardiaca i cui sintomi però su manifestano anche nello stomaco ed ha importanti risvolti di tipo cerebrale. Spesso è poi condita da una particolare terra rossa a livello di mucose e in punti del corpo inaspettati. Il mal d’Africa si manifesta in genere sulla scaletta dell’aereo di ritorno. L’unica medicina per sconfiggerlo è tornare.
Fra poco salgo sulla scaletta…solo il ritorno mi potrà curare.