Solo cose belle

Il caldo opprimente mi fa fare movimenti lenti, lentissimi. Ho in mano una pezza fatta da un vecchio lenzuolo a fiori con la quale sto pulendo le persiane delle finestre della piccola camera da letto al piano terra della nuova “Capanna di Betlemme”, la casa di accoglienza per i senzatetto che stiamo aiutando a sistemare per la nuova apertura.
Movimenti lentissimi, sempre uguali, ritmati: tra una fessura e l’altra della persiana, per togliere la polvere della strada su cui si affaccia la finestra. Piccoli momenti di respiro quando una leggera folata d’aria entra nella stanza passando tra le foglie dell’albero di agrumi che è proprio di fronte a me.
“Ma cosa sto facendo?”
Una domanda secca -cosa sto facendo- inizia a martellare nella testa. Cosa sto facendo.
Sono a duemila chilometri da casa, mentre pulisco le finestre di una stanza in cui verranno a dormire persone che non ho mai visto, di cui non so nulla, nemmeno il nome.
Cosa sto facendo.
Sera, tarda sera, con alcuni dei ragazzi portiamo un bicchiere di tè freddo ed un panino a persone che vivono per strada, spettinate, occhi fissi a riflettere il via vai di turisti del centro di Atene meravigliati dalla vista dell’Acropoli: non capisco neanche i loro nomi, c’è un muro altissimo, la lingua, indecifrabile, impenetrabile. Qualche stentata parola di inglese -vuoi un po’ di tè?-
un sorriso, la dignità. Serena che ci accompagna inizia a chiacchierare, a chiedere, ad interessarsi a chi abbiamo di fronte: lei parla greco, intende e cerca di avvicinarci a questo mondo fatto di Persone.
Cosa sto facendo. Mattina, mattina prestissimo. Due suore di Madre Teresa, quelle con la veste bianca e blu, come le case greche. Due suore, una Indiana e l’altra africana, otto bambini, un po’ africani, qualche greco, io: sembra l’inizio di una barzelletta. Ci chiedono di giocare un po’ con loro, hanno un piccolo centro estivo oltre alla mensa dei poveri. Giochiamo, la palla è un linguaggio internazionale, finalmente ci capiamo. Così quattro ore. Al sole. Al caldo -cosa sto facendo-.
Pomeriggio. Siamo tutti seduti intorno ad un tavolo, sotto un pergolato, in un bel giardino coi sassi bianchi, qualche limone, un grande fico. Una scritta nel muro bianco, una scritta blu: XVIII.
Filippo, Fabiola, Max, Serena, Jerusalem e i suoi piccoli: tutti seduti insieme intorno ad un bellissimo tavolo, sotto un pergolato. Sono una famiglia bellissima, sono la casa famiglia, sono della comunità Papa Giovanni XVIII. Sono di Siena, sono ora ad Atene. Gestiscono la Capanna, i servizi in strada, fanno tanto.
Cosa sto facendo.
Ci raccontano chi sono, perché, cosa.
Ci raccontano di don Oreste: ci si salva insieme, non c’è qualcuno che salva qualcun altro. È condividere, è così che si cambia il mondo. È la condivisione, è mettere insieme ciò che ho con ciò che hai. È il tempo che mi dedichi, è il tempo che ti dedico. Non mi importa chi sei, se ci conosciamo, sei sei grande o piccolo, se sei in strada o sotto un tetto. Ci si salva insieme.

Non so quale sia il “piano”, sinceramente non lo so e non so neanche se ci sia. Ma siamo qui, sono qui. Forse ho capito cosa sto facendo. Solo cose belle.

Gabriele

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